Esperienze di premorte
Le esperienze di premorte, spesso indicate con la sigla inglese NDE (near death experiences), sono esperienze descritte da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo una momentanea interruzione di queste in seguito a incidenti o gravi malattie.
Numerosi sono i tratti che queste esperienze hanno in comune, tant’è che sono state individuate quattro fasi distinte:
- fase dissociata, in cui la persona si trova a fluttuare sopra al proprio corpo e non avverte più sensazioni dolorose;
- fase naturalistica, durante la quale la persona vede tutto ciò che la circonda in modo oggettivo, riuscendo spesso a percepire anche i pensieri dei presenti;
- fase soprannaturale, in cui la persona interessata, o meglio la sua anima, si allontana dal proprio corpo (qui spesso le persone raccontano di aver attraversato tunnel luminosi e di avere incontrato cari defunti);
- fase di ritorno, in cui l’anima della persona rientra nel corpo.
Caratteristiche delle esperienze premorte
Elementi caratteristici sono la capacità di spostarsi da un luogo all’altro semplicemente desiderandolo e la totale scomparsa del concetto di tempo così come lo intendiamo noi: nessuna persona che racconti di aver vissuto un’esperienza di premorte riesce a quantificarne la durata in termini temporali.
Altra cosa che accumuna tali esperienze è il senso di pace vissuto da queste persone e la scomparsa, una volta tornati nel proprio corpo, della paura della morte, accompagnata da un nuovo modo di vedere e vivere la vita.
Racconti di esperienze di premorte si trovano nelle opere di numerosi autori, a partire dal racconto del soldato Er ne La Repubblica di Platone. Anche Hemingway, Tolstoj, Hugo, Jung, tanto per citarne alcuni, ne parlano nelle loro opere. Jung racconta addirittura di un’esperienza di premorte vissuta in prima persona durante uno stato di coma.
Agli inizi del 1900 Elisabeth Kubler-Ross, una psichiatra svizzera trasferitasi poi negli Stati Uniti, inizia ad esplorare in modo più approfondito questo campo. Nel suo testo, La morte è di vitale importanza. Riflessioni sul passaggio dalla vita alla vita dopo la morte, sostiene che la morte non esiste ma è solo un passaggio ad un luogo più bello, paragonando il passaggio ad una farfalla che esce dal suo bozzolo.
Sarà poi con il medico e psicologo Raymond Moody che inizieranno i primi veri e proprio studi sulle esperienze di premorte. Attraverso l’analisi di quanto riportato da più di 3000 persone il medico statunitense si è convinto che la vita non finisce con la morte fisica.
Studi e approfondimenti sull'esperienza premorte
Questi, grazie ai numerosi casi analizzati, ha identificato nove caratteristiche comuni alle esperienze di premorte (caratteristiche che non necessariamente si manifestano tutte in ogni esperienza raccontata): presa di coscienza della morte del corpo, assenza di dolore, abbandono del corpo fisico, passaggio attraverso un tunnel, rapida ascesa al cielo, incontro con esseri luminosi, incontro con il massimo Essere di Luce, riesame della propria vita, riluttanza a tornare.
Altro importante studioso dei fenomeni di premorte è stato Pim Van Lommel, cardiologo olandese, che, al termine di uno studio durato 10 anni e condotto su 344 pazienti, ha affermato la sua convinzione dell’esistenza di una coscienza che va al di là dello spazio e del tempo.
Tra gli studiosi di esperienze di premorte abbiamo anche Michal Sabom, medico che si è avvicinato alla tematica all’inizio con grande scetticismo per poi ricredersi nel corso dei suoi studi. Questi, tra gli altri, ha portato avanti un esperimento chiave confrontando le conoscenze su quanto deve essere fatto da un medico per rianimare un paziente dopo un arresto cardiaco. Ha creato due gruppi, ciascuno di 25 persone. Nel primo c’erano persone che avevano vissuto l’esperienza di premorte in seguito ad arresto, nel secondo 25 pazienti appassionati di medicina. Bene, di questi ultimi 23 avevano saltato alcuni passaggi, mentre dei pazienti del primo gruppo tutti avevano risposto nel modo giusto raccontando ciò che avevano visto una volta fuori dal corpo.
Olaf Blanke e Sebastian Dieguez, due neuroscienziati, hanno spiegato queste esperienze come il risultato di un’attività anomala dei lobi temporali (l’area del cervello coinvolta nell’analisi degli stimoli sensoriali e della memoria) causata da una maggior produzione di dimetiltriptamina in seguito ad una situazione di stress o shock improvviso (tale sostanza causa effetti simili a quelli delle allucinazioni) e dall’anossia (assenza o scarsità di ossigeno al cervello, cosa che causerebbe provoca allucinazione e euforia).
Allo stesso modo altri neuroscienziati, pensando alla coscienza come ad un prodotto del nostro cervello, hanno cercato di spiegare le esperienze di premorte come una residua attività cerebrale non rilevabile tramite encefalogramma.
Tutto questo però non spiega come la persona possa descrivere ciò che avveniva nella stanza o nelle stanze vicine mentre non era cosciente. Inoltre, nel 2010, Bryce Greyson (professore all’Università della Virginia) stabilì una scala per misurarne l’intensità arrivando ad affermare che queste si distinguevano da altri stati di alterazione psichica in quanto molto più intense e con scene più vivide.
Lo stesso Raymond Moody, attraverso i suoi studi, aveva sostenuto che gli episodi di premorte non possono essere paragonati ad episodi schizofrenici in quanto, diversamente da questi, hanno un inizio, uno svolgimento e una fine e il tutto ha un effetto positivo sulla vita delle persone (solo lo 0,3% delle persone racconta di avere avuto esperienze di premorte negative e paurose).
Anche per quanto riguarda la tesi che queste possano essere legate ad una mancanza di ossigeno questa è stata confutata in quanto un cardiologo di Atlanta si è ritrovato a misurare il livello di ossigeno ad un paziente che stava cercando di rianimare proprio mentre questi stava avendo un’esperienza di premorte e il livello è risultato essere sopra la norma.
In circa 40 anni di statistiche è risultato che circa il 15% della popolazione mondiale ha avuto esperienze di premorte.